L’impegno sociale ed artistico dei Marenia su AbbiAbbè, popolarissimo quindicinale indipendente di Napoli nord.

L’intervista, rilasciata da Lello Cardone e Maria Ylenia (Il giornale indica erroneamente solo Lello Cardone che risponde) fondatori dei Marenia, ad Antonio Mangione, analizza le diverse tematiche anche trattate nei brani della band.

Di seguito il PDF dell’articolo.

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Intervista ai Marenia di Antonio Magione

“Munnezz, munnezz”…parole diventate colonna sonora di cittadini stanchi di convivere da anni con l’emergenza rifiuti. I Marenia ne hanno fatto una canzone, diventata quasi per caso sottofondo musicale delle recenti proteste di Taverna del Re. Si definiscono un gruppo ‘open ensemble’ ovvero una formazione aperta, arricchita ed ampliata “non secondo le regola del mercato, ma quelle, ben più intense e fruttifere della solidarietà”. Sono Maria Ylenia Trozzolo (cantautrice) e Raffalele – Lello per gli amici – Cardone (polistrumentista) i fondatori e nocciolo duro del gruppo, sul mercato con un’etichetta indipendente. Sono loro che curano testi, musiche ad arrangiamenti, coadiuvati da diversi artisti. Filo conduttore delle canzoni il sound folk Mediterraneo, in particolare quella del Sud Italia. Nel 2004 hanno fondato l’associazione musicale Illimitarte a Villaricca e attraverso essa, integrano, formano, i nuovi artisti liberi, in particolare i giovani. Nel 2008 inventano i ‘Bidonvillarik’, percussionisti “riciclanti” che suonano sui rifiuti, e – in emergenza rifiuti – la formazione fa il giro del mondo attraverso media internazionali come il Times, BBC, Al Jazeera. Poi è la volta dell’Awop, il festival antirazzista ed antimafia “A World of Peace”, che raggiunge in sole tre edizioni oltre 1500 adesioni di artisti ed associazioni da ogni parte d’Italia. Per le loro attività ricevono elogi e riconoscimenti dall’Unicef, dalla Croce Rossa, dal Presidente della Repubblica. Collaborano con Legambiente, Libera, e sono membri degli Artisti Solidali Antirazzisti, ed il loro attivismo viene riconosciuto anche dal Mei che premia l’Awop come secondo miglior festival nazionale nella rete dei festival italiani. Da qualche settimana è uscito il loro ultimo lavoro, “Scantu”, che in dialetto calabrese vuol dire “Spavento”.
Nel disco – distribuito da illimitarte in esclusiva ed acquistabile da www.marenia.net – tutto acustico, registrato e prodotto negli studi della stessa associazione e mixato da Dino Barretta al Music Factory Napoli, oltre Maria Ylenia alle voci e Raffaele alle Chitarre, Choral Sitar e Bouzouki, suonano: Andrea Avena e Gennaro Cerbone al Contrabbasso, Roberto Giangrande al Basso Acustico, Pino Ciccarelli al Sax e Clarinetto, Enzo Grimaldi alla Fisarmonica e Melodica, Vittorio Bruno alle percussioni. Permette a chi lo acquista di finanziare direttamente le attività dell’associazione, permettendo a centinaia di giovani di studiare musica e scoprire valori come l’antirazzismo, la lotta all’omofobia, alla xenofobia, alle mafie, alla violenza, attraverso la cultura.

“Munnezz Munnezz, c’avite rutte ‘o cazze cu tutte st’ecoballe ce so scuppiate ‘e palle”…di certo non siete un gruppo che fa giri di parole..Quando e come è nata questa canzone? Non vi siete stancati di cantarla?

Nel 2008 quando abbiamo composto il brano insieme a Rosario Puzone, non pensavamo che dopo due anni si presentasse un’emergenza rifiuti ancora più grave. La canzone rispecchia la condizione di un popolo stanco di essere usato come capro espiatorio delle inefficienze politiche e delle collusioni. Il testo, scurrile, sintetizza la condizione estetica ed esasperata di queste aree.

Più di 12 milioni di tonnellate di rifiuti, speciali e non, sversati in 15 discariche legali nel Giuglianese senza contate quelle abusive, più di 6 milioni di rifiuti in balle nei due siti di stoccaggio, tra Taverna del Re e l’area a ridosso del Cdr, falde acquifere inquinate, aumento delle malattie tumorali. Eppure siamo ancora in piena emergenza rifiuti. Di chi la colpa di questo disastro? Della mala politica o della società civile dormiente davanti a questi scempi?

La responsabilità è comune, sia della politica che dei cittadini. Sono tanti i comuni che non adottano o fanno male, la raccolta differenziata, ma i cittadini non scendono in piazza, non protestano, e chi non protesta è complice, come chi se ne sta ‘zitte zitte, omertoso, verso un sistema che produce utili a soggetti che stanno solo distruggendo il nostro presente e distruggeranno il nostro futuro. Senza contare le centinaia di roghi di rifiuti tossici che ogni giorno e notte infestano i nostri terreni e cieli, rendendo da 20 anni l’aria di queste zone cancerogena e irrespirabile.

Perché Giugliano non è Terzigno, non è Pianura, non è Scanzano Ionico, non è Serre?

Purtroppo molti abitanti delle nostre aree usano questi posti come enormi quartieri dormitorio, quindi c’è gente che crede che Taverna del Re sia un ristorante! La disgregazione sociale, l’isolamento culturale e mediatico, la mancanza di attività e proposte culturali, di luoghi sani di aggregazione, porta la gente ad allontanarsi e a non prendere parte alle attività territoriali, isolandoli e di fatto, dominandoli.

In che modo gli artisti possono dare il loro contributo affinchè le cose cambino?

Molti sono gli artisti sul territorio che cercano di impedire che questo scempio prosegua, attraverso attività di ogni tipo, spesso mal pubblicizzate dai media, fin troppo sensibili agli uffici stampa. Nei nostri spettacoli, in qualunque posto ci esibiamo, dall’Emilia Romagna alla Calabria, cerchiamo di sensibilizzare il pubblico verso un problema che non è solo locale. I rifiuti sono il nuovo oro delle mafie, ed ogni cittadino che produce indifferenziata contribuisce ad alimentare circuiti di enormi profitti di pochi e danni incalcolabili per l’ambiente e la vita di tutti.

Solidarietà, integrazione sociale, riscatto del Sud: questo il filo conduttore del vostro ultimo disco ‘Scantu’, perché questo nome?

Scantu in dialetto calabrese vuol dire spavento, spavento quando apriamo un libro di storia e si capisce che ad un certo punto si perdono le tracce della nostra identità. Il nostro disco è un percorso dall’unita d’Italia alla guerra civile al dramma dell’emigrazione, dalla seconda guerra mondiale alla presa di potere assoluta delle organizzazioni criminali, alla televisione, autentica arma di distrazione di massa.

Tra i brani del nuovo album non mancano riferimenti alla camorra. Quanto incidono i quotidiani comportamenti omertosi dei cittadini nel favorire lo sviluppo della mentalità mafiosa?

Basta ascoltare il nostro brano “camorra” per rendersi conto di quante attività quotidiane favoriscono lo sviluppo delle mafie. L’omertà spesso rappresenta l’unica arma di difesa (ingiustificabile) di cittadini che non vengono tutelati dallo stato. In alcune zone come le nostre lo stato dovrebbe essere molto più rapido, attento, efficiente e risolutivo. Si dovrebbe lavorare molto di più sul senso di coscienza collettiva e di bene comune.

Il Sud sembra muoversi su due scenari paralleli e diversi. In Sicilia, in Calabria e recentemente anche in Campania i giovani hanno iniziato ad esporsi in prima persona contro le Mafie formando comitati ed associazioni, la politica sembra invece incapace di intercettare questa richiesta di giustizia e legalità. Può arrivare dai giovani il riscatto per queste terre?

Anni fa i politici erano collusi con le varie organizzazioni criminali, oggi c’è un passaggio in meno, molti politici sono direttamente affiliati ai clan. La nuova mafia è furba, professionista, attenta a generare crisi e creare bisogni. Solo i giovani possono cambiare le cose, la generazione precedente alla nostra ha trascinato il paese verso i centri commerciali, la cancellazione delle attività produttive al sud, la perdita delle identità, la sottomissione ai poteri forti, il familismo, l’ignoranza, il debito, l’egoismo.

Nelle vostre canzoni si sente in maniera forte l’attaccamento alla storia del Meridione, al quel movimento storico-culturale che è stato il brigantaggio. Cos’è una risposta agli attacchi Padani?

No, nemmeno per sogno. La Padania non è mai esistita e non esiste. L’unità d’Italia è stata realizzata con il sangue ed i soldi dei nostri antenati, con la cancellazione di uno stato sovrano, invaso senza dichiarazione di guerra, e con nove anni di guerra civile ed uno spaventoso numero di morti. Ma era il regno d’italia e non la Repubblica Italiana, due cose fortunatamente ben diverse. La sterile polemica di fautori della causa risorgimentale, che vogliono nascondere cos’era il meridione prima è ostacolata da macigni quali i fatti storici. La prima ferrovia Napoli – Portici, così ben pubblicizzata non è italiana ma italica, perché è stata realizzata nel regno delle due Sicilie! E così una marea di primati del meridione. Quando il meridione riavrà la propria storia potrà esser fiero di parlare in calabrese, siciliano, pugliese, Lucano, abruzzese, molisano, napoletano senza fare come tanti emigranti che nascondono le origini. I nuovi briganti sono quelli che non si vergognano della loro identità. Il nostro brano brigantessa si mora, è un omaggio a tutte le donne che hanno messo l’amore davanti alla loro vita. Che sia stato amore per la propria terra, i propri figli, il proprio uomo non fa differenza. Non si parla di eroine ma semplicemente di donne normali, che amavano, che amano e che per amore continuano a morire.

Miscelate nei vostri testi dialetti calabresi, napoletani, siciliani, pugliesi, ritmiche balcaniche ed africane a pizzica, tammurriata, reggae, celtica con canti microtonali indiani a sonorità jazz in una fusione di stili senza limiti. Pensare globalmente per agire localmente può essere un modo per superare le barriere sociali, culturali e razziali

Certo! Basta guardarci! Non siamo forse la fusione di civiltà a strati che hanno interagito, che si sono sovrapposte, migrazioni, dai greci agli spagnoli, passando dai normanni, bruzi, saraceni, svevi, austriaci, francesi, la lista e lunghissima! Da ogni popolo abbiamo attinto pregi e difetti e questa mescolanza di geni ci rende unici, ricchi di diversità.

“Miezz’ e terre ‘e Giugliano, ‘o fiete saglie saglie”.. tre motivi validi perché i giovani dovrebbero restare in queste terre?

Cosa dovremmo fare, andare via tutti?! No! Per due motivi, perchè dalla melma nascono i fiori di loto e perché il peso della solitudine di un emigrante è lo stesso in ogni generazione. Chi va via lascia un bene prezioso, la condivisione del tempo con i propri cari, con gli amici. Si cristallizzano dei momenti vissuti nella propria terra e si mitizzano dei personaggi, delle situazioni. La memoria diventa un rifugio, spesso circondato da un senso di impotenza. Molti sono andati via per ritrovarsi con grandi sogni a fare i commessi a Londra, e troppi non riescono a ritornare perché dovrebbero farlo da “perdenti” secondo l’ottica che chi va via deve rientrare ricco e opulento. Il dramma è sotto gli occhi di tutti. Costruire un posto migliore qui e tutti insieme. Dai bastano questi due motivi!

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