Il 27 Luglio siamo fieri di partecipare al Festival dell’Impegno Civile a Sessa Aurunca (CE). Nei beni confiscati alle mafie il futuro per la nostra terra noi ci saremo con i Marenia ed i Bidonvillarik. Si uniranno a noi anche i Malaika per un grande concerto fatto di contaminazione ed integrazione.
Partecipate numerosi, siamo insieme gioia e libertà. Perché solo la felicità e la libertà dissolveranno, nel nulla questo cancro.
Ecco il comunicato del Festival.
Il Festival in cifre
28 eventi tra dall’otto giugno al tre agosto
20 Beni Confiscati e 16 Comuni coinvolti
20 promotori di tappa tra Presidi di Libera, cooperative, associazioni
Oltre 100 ospiti
L’alto Patronato del Presidente della Repubblica e 13 patrocini
45 adesioni di Enti, Università, Associazioni
13 collaborazioni tra Fondazioni, Festival, Media, Associazioni
12 sponsor – Camera di Commercio, imprenditori antiracket, cooperative della Rete Facciamo un Pacco alla Camorra
0 euro di finanziamenti pubblici,
4 serate dedicate al teatro, 8 alla musica, 6 al cinema, 1 alla moda, tutti gli ingressi sono gratuiti
11 libri presentati, 6 mostre, decine di incontri e tavole rotonde, tanti interventi a sorpresa
Festival dell’Impegno civile: arte, spettacoli e incontri nelle case e sui terreni confiscati ai clan. Per liberare il Bene.
Dall’otto giugno al tre agosto luglio, tra le provincie di Napoli, Caserta e Avellino l’unica kermesse italiana interamente realizzata sui beni confiscati. Taglione (Libera Caserta – Comitato Don Peppe Diana): «Ci riappropriamo della nostra memoria per costruire il nostro futuro»
«Oggi più di ieri siamo convinti della necessità di portare avanti una battaglia ferma per una società liberata dalle mafie e dal malaffare. I beni confiscati rappresentano uno strumento fondamentale di questo cammino. Quest’edizione del Festival dell’Impegno Civile, a 20 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, a 30 anni dall’omicidio di Pio La Torre, assume un valore ancora più alto, e, come sintetizza il tema scelto per quest’anno, siamo chiamati a liberare il Bene». Lo afferma Valerio Taglione, referente di Libera Caserta e del Comitato Don Peppe Diana, le associazioni che promuovono la V edizione de “Il Festival dell’Impegno Civile, il bene liberato”, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, unica kermesse italiana ad essere interamente realizzata sui beni confiscati alla criminalità organizzata. Nelle ville, sui terreni, negli appartamenti una volta appartenuti agli spietati boss della camorra napoletana, casertana e irpina, si alterneranno filosofi, scrittori, artisti, attori, magistrati, rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni per testimoniare la possibilità di un nuovo sviluppo, sostenibile e inclusivo, che parte proprio dai patrimoni sottratti ai clan. 16 comuni, 20 beni confiscati, 28 eventi,nessun finanziamento pubblico, oltre 100 ospiti convolti. Ascanio Celestini il 28 luglio a Sessa Aurunca, Saverio La Ruina il 20 luglio a San Cipriano d’Aversa, i Foja il 6 luglio a Villa di Briano, sono alcuni dei protagonisti del fitto programma del Festival che, a partire dal 8 giugno e fino al 3 agosto si svolgerà in tanti comuni della provincia di Napoli e Caserta fino a Quindici (Avellino). Molti gli incontri, tra cui quelli con Don Luigi Ciotti, Mons. Angelo Spinillo, Alex Zanotelli, Don Tonino Palmese,Aldo Masullo, Berardo Impegno, Raffaele Cantone, Lello Magi,Donato Ceglie, Federico Cafiero De Raho,Ignazio Marino, Amato Lamberti, Antonio Amato, Nino Daniele, Tano Grasso, Cesare Moreno,Giulio Cavalli, Pino Maniaci, Sandro Ruotolo,Antonio Menna, Fausto Pellegrini,Stella Cervasio, Daniela De Crescenzo, Rosaria Capacchione.
Ed ancora la musica dei Bidonvillarik, dei Marenia e dei Malaika, di tanti gruppi locali e di un ensemble che giunge da Lodi, le proiezioni di Cinemovel e del Festival Cinema e Diritti di Napoli, le incursioni di Vodisca Teatro, di Teatro Golem, dell’associazione REsitenza di Scampia, di Luigi Imperato di Teatro di Legno, la sfilata di moda con gli abiti “made in Castel Volturno” della sartoria sociale La casa di Alice, le cene a base dei prodotti realizzati dalle cooperative della rete “Facciamo un pacco alla camorra”, la premiazione del concorso “cOrto biologico” per cortometraggi su Terra di Lavoro.
La collaborazione del Comitato Don Peppe Diana con la Fondazione Fitzcarraldo porta, poi, al lancio dell’ambizioso progetto di formazione “Valorizzare il bene”, che partirà in autunno in provincia di Caserta. Ancora, decine di presentazioni di libri e mostre, approfondimenti tematici sulle aziende confiscate, sulla normativa per il riutilizzo dei beni confiscati, sulla “buona terra”, sui diritti degli animali, sul ruolo della scuola e su quello dell’informazione, sulla “questione migranti”, sul valore della memoria, sul lavoro. E nel corso del Festival, sul bene confiscato di Maiano di Sessa Aurunca, farà tappa anche “A ruota libera” la staffetta ciclistica per disabili che, da Breno a Palermo, attraverserà l’Italia tra memoria e impegno, con i suoi 1850 km lungo 10 regioni, nel ricordo di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta. La staffetta si concluderà a Palermo, il 19 luglio, in via D’Amelio, in occasione del 20° anniversario della strage. «Ci riappropriamo della nostra memoria per costruire il nostro futuro» afferma Taglione «Siamo in cammino per realizzare le Terre di Don Peppe Diana, luogo di incontro e riconoscimento che supera silenzi e paura. Lo faremo con le centinaia di ragazzi che da tutt’Italia giungono per i campi estivi di Libera, ma, soprattutto, con uomini, donne, giovani, anziani di questa nostra regione, stanchi di dover subire la violenza del potere della camorra». Col Festival saranno lanciate due campagne: una per promuovere forme di consumo liberato dall’ingiustizia, dall’illegalità dalla nocività ambientale, l’altra per raccogliere le firme per chiedere il conferimento della medaglia d’oro al valor civile alla memoria per Joseph Ayimbora, il giovane ghanese, sopravvissuto alla strage di Castel Volturno del settembre del 2008 e prematuramente scomparso lo scorso febbraio, divenuto uno dei principali testimoni d’accusa contro il gruppo del camorrista Setola.
L’intero progetto del Festival è vagliato da un prestigioso comitato scientifico di cui fanno parte Camilla Bernabei (CGIL), Lorenzo Chieffi (Preside Giurisprudenza SUN), Don Paolodell’Aversana (Parroco Santuario Madonna di Briano), Lucariello (cantante), Adele Mascolo (dirigente pubblico), Marco Musella (Preside Scienze Politiche Federico II), Massimiliano Noviello (familiare vittima innocente di camorra), Mary Osey (mediatrice culturale). Programma completo e tutte le informazioni della kermesse sul sito www.festivalimpegnocivile.it
I temi del Festival
Le Terre di Don Peppe Diana, geografie materiali e immateriali di incontro e reciproco riconoscimento che vincono silenzi, stigmatizzazioni e paura riscoprendo Valore e Bellezza. Il Bene liberato, i beni confiscati come patrimonio comune di una collettività che si riappropria di quello che le era stato sottratto, strumento di uno sviluppo sostenibile e inclusivo capace di combattere il malaffare e la criminalità organizzata liberando il Bene, in senso etico, civile e morale;
La lotta alla camorra, strumento di potere che porta morte e distruzione, distrugge speranze e possibilità, ma può essere combattuta e vinta;
Il richiamo alla politica e alle istituzioni, perché abbandonino la zona grigia, perché abbattano i muri di gomma, perché non si lascino commissariare dall’affarismo;
La difesa dei diritti, quelli sanciti dalla Carta Costituzionale, dalle grandi Dichiarazioni Universali, a tutela degli esseri umani, degli abitanti non umani del Pianeta e della natura;
Il senso del dovere, della responsabilità, dell’essere cittadini e mai più sudditi;
La necessità della scuola e del lavoro, contro l’intorpidimento delle coscienze e la precarizzazione delle esistenze, per costruire giustizia sociale e libertà;
La memoria, radice della vita, pilastro del futuro, pietra delle nostre case, racconto, canto e scrittura;
Il no al razzismo, alle discriminazioni fondate sul rifiuto dell’alterità e delle diversità, all’esclusione che costruisce distanze che diventano d’offesa;
Il talento dei più deboli, di quanti vivono il disagio, la sofferenza, la malattia, che spesso consideriamo gli ultimi, che sono i primi cittadini delle Terre di Don Peppe Diana;
La resistenza, lotta partigiana di chi sta da una parte, sceglie, prende posizione, sa rifiutare e denunciare, decide di lottare;
I cento passi, quelli che ancora dobbiamo compiere, quelli che sempre dovremo compiere, chè il nostro resta un cammino, la faticosa ma entusiasmante costruzione di un’utopia della realtà.
La situazione dei beni confiscati in Campania: criticità
La Campania rappresenta la seconda regione italiana per numero di beni confiscati: 1821, 1503 immobili e 318 aziende. E’ preceduta solo dalla Sicilia e seguita, in ordine da Calabria, Puglia e Lombardia. Detiene il 15,02% del patrimonio confiscato nazionale.
I beni confiscati in Campania, tra immobili e aziende, sono localizzati prevalentemente tra le province di Napoli (1007) e Caserta (522). Segue Salerno con 256 beni, quindi Avellino (21) e Benevento (15)
La legislazione nazionale vigente fa riferimento al c.d. “codice antimafia” (D.Lgs. 159, 6 settembre 2011), mentre quella regionale ai “Nuovi interventi per la valorizzazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata” (L.R. 7 del 16 aprile 2012).
In Campania si evidenziano criticità proprie della più complessiva gestione del patrimonio confiscato: eccessivo lasso di tempo che intercorre tra le fasi di sequestro, confisca, destinazione e gestione, con grandi rischi di vandalizzazione dei beni; gravame ipotecario sui beni sequestrati e confiscati; farraginosità e disomogeneità delle procedure giuridiche e amministrative, mancata collaborazione interistituzionale, mancata attuazione delle previsioni legislative.
Così, ad esempio, pur previsto dalla legge nazionale, il 95% dei comuni campani non si è ancora dotato di un elenco dei beni confiscati che ricadono sul proprio territorio.
Anche le istituzioni sovra comunali sono prive di tale elenco, mentre quello dell’Agenzia Nazionale fornisce un dato esclusivamente quantitativo, senza alcun approfondimento relativo alla qualità e alla georeferenziazione. Per la Campania, in merito, si è in attesa che venga attuato quanto previsto nella L.R. 7/2012
L’Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati ha aperto una sede territoriale campana a Castel Capuano a Napoli, seppure, tra l’altro, si è ancora in attesa dell’inaugurazione ufficiale della stessa. L’endemica scarsità di organico (30 unità di personale per tutta l’Italia) e mezzi, l’estrema complessità delle questioni da affrontare, le ancora irrisolte questioni con l’Agenzia del Demanio, hanno finora tarpato il ruolo propulsore che pure quest’Agenzia avrebbe dovuto avere.
Tra i principali freni al riutilizzo dei beni confiscati resta quello della esiguità dei fondi a disposizione per la ristrutturazione e rifunzionalizzazione degli stessi. Ad oggi, la maggiore fonte di finanziamento è determinata dalla misura 2.5 del PON Sicurezza. La procedura di accesso al fondo si rivela però lunga e complessa, e nonostante parte dei fondi resti non spesa, tra valutazione e finanziamento del progetto continua ad essere necessario un lasso di tempo non inferiore ai 24/36 mesi. Scarse altre fonti di finanziamento sia private che di altre istituzioni pubbliche.
Molti enti locali frappongono ostacoli, di diversa natura, al pieno riutilizzo dei beni confiscati, e purtroppo non mancano esempi in Campania di amministrazioni comunali che, anziché promuoverne il riutilizzo, ostacolano le esperienze nate. Persistono in tante amministrazioni zone grigie e collusioni, ma anche impreparazione e scarsa attenzione ad investire impegno sui beni confiscati . Anche altre istituzioni, ad esempio le ASL, hanno posto grandi ostacoli al riutilizzo dei beni confiscati delegittimando sistemi come quello dei budget di salute linea rossa delle migliori esperienze di riutilizzo dei beni confiscati. E anche grandi città come Napoli, seppure per ragioni diverse, presentano molte criticità: ancora si attende, ad esempio, di conoscere la sorte di un importante vigneto a Scampia e di altri beni confiscati come quello di San Pietro a Patierno. Si attende a breve che il Comune definisca la nuova governance per l’assegnazione dei beni attraverso procedura con evidenza pubblica.
Manca in Regione Campania una programmazione organica delle politiche sui beni confiscati, potrebbe portare un contributo in merito l’istituendo Osservatorio Regionale, ma sarebbe necessario, soprattutto, che, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente, la Regione facesse dei beni confiscati un tema trasversale della propria agenda di programmazione politica e amministrativa.
Molte, poi, le esperienze avviate sui beni confiscati, costrette poi a chiudere perché non più sostenibili da un punto di vista economico. A fronte di un quadro politico sociale di crisi e di sostanziale arretramento del pubblico nell’investimento sociale, le esperienze sui beni confiscati soffrono di un’ulteriore indebolimento. Ragione che determina la necessità di strutturare azioni di formazione da un lato e partenariati dall’altro, volti a determinare la possibilità di costruire progetti sostenibili di riutilizzo dei beni confiscati al di là dell’intervento pubblico.
Non mancano, naturalmente, atti di intimidazione e grandi difficoltà ambientali: i beni confiscati, spesso sono posti in luoghi dove, come ai quartieri spagnoli è ancora forte la presenza del clan cui il bene è stato sottratto, o addirittura, come a via Bologna a Casal di Principe, sono confiscati per metà, lasciando l’alta metà alla famiglia del boss. Inoltre, nonostante gli sforzi delle forze dell’ordine, mancano spesso controlli efficaci.
Il maggiore ostacolo, resta comunque di ordine sociale e culturale, è nell’assenza di un sentire comune che faccia dei beni confiscati luoghi che l’intera cittadinanza sente propri, vive e difende.
Approfondimento a parte meriterebbero le aziende, vero ventre molle della gestione del patrimonio confiscato: ad oggi oltre il 90% delle aziende falliscono a seguito della confisca.
La situazione dei beni confiscati in Campania: buone prassi – il Modello Caserta
Il Modello Caserta viene identificato innanzitutto nella straordinaria azione di Magistratura e Forze dell’Ordine che ha portato all’arresto di tanti efferati camorristi, da Setola a Iovine fino a Zagaria. Ma insieme a quest’azione di controllo e repressione che ha inciso pesantemente anche nel tessuto colluso della politica e delle professioni, si è sviluppato proprio in Terra di Lavoro, proprio a partire dai Beni Confiscati, un complementare modello di rivendicazione e riscatto sociale.
Il riutilizzo dei beni confiscati in Provincia di Caserta ha portato a straordinari risultati, determinando la nascita di una rete di esperienze capaci di trasformare concretamente inaccessibili luoghi di morte e violenza in agorà dove si costruiscono progetti per uno sviluppo sostenibile e inclusivo, nel rispetto dei Diritti di tutti e della Natura.
Il pilastro di questo modello sta nella capacità della cooprogettazione e della cooazione. La rete come intreccio che coinvolge cooperative, associazioni, università, scuole, enti, singoli cittadini, si è dimostrata la strada maestra per dar vita ad esperienze capaci di avere autonomia e forza.
Facciamo un pacco alla camorra e la promozione dei prodotti dell’agroalimentare che viene dalle nostre terre riconvertire all’agricoltura biologica, il progetto RES per costruire Economia Sociale, Visiterre e la strutturazione di percorsi di turismo responsabile, la produzione sartoriale di Casa di Alice, fino a questo stesso Festival, con le tante realtà che a tutto questo sono legate, rappresentano il risultato di un’azione che nasce sui beni confiscati alla criminalità organizzata e si estende sui territori, tra le persone.
Oggi su alcuni beni confiscati dei comuni come Casal di Principe, San Cipriano, Sessa Aurunca, Casapesenna, le persone, soprattutto i giovani, i ragazzi, trovano un luogo di accoglienza e discussione dal quale pensare e progettare alternative al reale che fino ad oggi abbiamo loro apparecchiato.
Su questi beni, inoltre, si è determinata la possibilità di incontro con le diversità, col il disagio, con la malattia. Quest’incontro si è dimostrato come la spinta propulsiva al pieno riutilizzo dei beni confiscati. Riutilizzo che pure in una prospettiva di auto sostenibilità resta comunque innanzitutto sociale. E in un’epoca di crisi in cui i modelli di welfare sono messi pesantemente in discussione, sui beni confiscati della provincia di Caserta si sta dimostrando che l’investimento nel sociale può essere volano di sviluppo per un intero territorio.
Questo modello continuerà a vivere solo nella capacità di essere replicabile e di coinvolgere sempre nuove realtà, superando confini e divisioni.